“Mai più camorra”Afragola non dimentica il suo Maresciallo Gerardo D’arminio. (Video)

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di Gennaro Napoletano

Bisogna che si faccia il proprio dovere, costi quel che costi, perché nel fare il proprio dovere si realizza l’essenza della dignità umana”. Queste sono parole di Giovanni Falcone che sintetizzano lo spirito del magistrato ucciso il 23 maggio 1992 a Capaci e che oggi abbiamo ricordato per il senso del dovere che lo accomuna a un’altra vittima illustre, protagonista importante che riguarda la nostra città: il Maresciallo Gerardo D’Arminio, trucidato nell’adempimento del proprio dovere in Piazza Gianturco 40 anni fa.

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Sono le parole del Sindaco di Afragola On Domenico Tuccillo, in occasione della manifestazione in ricordo del Maresciallo capo della stazione dei Carabinieri di Afragola trucidato dalla camorra la vigilia dell’epifania del 1976:Quella sera stava accompagnando il figlioletto di 4 anni in un negozio di giocattoli, quando viene giustiziato da un colpo di fucile proveniente da una cinquecento gialla. In quell’auto c’erano degli appartenenti al clan Moccia sul quale stava dirigendo le sue indagini. Dell’omicidio si autodenunciò l’ultimo dei fratelli Moccia, Vincenzo, che scontata una pena di undici anni, appena uscito di galera venne ucciso.

Il maresciallo dei carabinieri Gerardo D’Arminio, padre di quattro bambini, ucciso nella piazza principale di Afragola il 5 gennaio del 1976. «Fino a qualche mese prima», racconta Orsola D’Arminio, «aveva comandato la stazione dei carabinieri di Afragola. Poi era stato trasferito al nucleo operativo a Napoli, alla caserma Pastrengo. Aveva dovuto lasciare la sua abitazione in caserma. A Napoli le case erano care. E così rimase ad abitare ad Afragola».

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Il maresciallo D’Arminio era originario di Montecorvino Rovella, in provincia di Salerno. Vi era nato il 12 dicembre del 1937. Era sposato con Anna Benvenuto, da cui aveva avuto quattro figli: Giusy, Orsola (che lui chiamava Annalina), Carmine e Marco. AMontecorvino aveva la sua famiglia, le sorelle, gli amici d’infanzia. Lì c’erano le sue radici. Le radici di una famiglia nobile e antica, consacrata dagli Aragonesi, con titolo nobiliare e proprietà terriere. Gerardo amava il suo piccolo paese. Amava le sue sterminate piantagioni di ulivo. Amava passeggiare sui vicini monti picentini, che da ragazzo si divertiva a scalare in bicicletta. Faceva lunghe passeggiate sul monte Nebulano che domina il paese. Andava alla scoperta di sorgenti di acque sulfuree, che da quelle parti sono numerose. Si divertiva un sacco e, soprattutto, si rilassava. E ogni volta che poteva, tornava ben volentieri nella sua Montecorvino per ritrovare i luoghi e gli amici della sua infanzia. Partì giovane da Montecorvino. Lasciò le campagne e la vallata per arruolarsi nell’Arma a vent’anni, in cerca del «posto sicuro», come tanti giovani meridionali. A ventidue era già vicebrigadiere. Il suo fascicolo personale è ricco di encomi solenni per aver partecipato a varie operazioni nelle città dove prestava servizio: Chieti, Isernia, i piccoli paesini della Sicilia e Palermo dove venne promosso maresciallo. Poi fu trasferito a Napoli e assegnato alla caserma dei carabinieri di San Giovanni a Teduccio.

 

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«Per lui la divisa che indossava era tutto. Prima della divisa c’era la famiglia. Che ora è come se fosse morta con lui. E dopo tanti anni dalla sua morte, mio fratello è come scomparso dalla vita collettiva, nessuno più ne ha memoria. Per ricordarlo gli facciamo dire una messa tutti gli anni. È venuta una mia cugina a casa proprio il giorno dell’anniversario della sua morte e ha portato un articolo di giornale che lo ricordava. S’è messa a piangere solo parlandone. E con lei anche tutta la famiglia. Qui è come se ci fosse perennemente il lutto. Ora che sono passati trentaquattro anni, al solo parlarne, il dolore che portiamo dentro è come se si riacutizzasse. Si aprono tutte le ferite». La voce di Orsola è rotta dall’emozione. «Non esistono più feste, non esistono più giornate di sole. Non esiste più niente. È tutto spento. Si va avanti per inerzia. La nostra vita s’è fermata a quel 5 di gennaio del 1976».

La famiglia D’Arminio ora vive a Montecorvino Rovella, cercando di sopravvivere alla tragedia. È ritornata dove aveva le radici. Dove ci sono i monti che circondano il paese, pieni di sorgenti sulfuree. Ma quel carabiniere che non aveva paura di niente, non c’è più. C’è solo il dolore e una lapide nella piazza principale di Afragola che lo ricorda. Alla sua memoria è stata assegnata la medaglia d’argento al valor militare.

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Le parole del Sindaco di Afragola, che ha aperto la manifestazione sono “profonde” e allo stesso tempo ricche di tanta speranza: “ Noi oggi come amministrazione abbiamo compiuto quello che possiamo dire il nostro dovere. E il nostro dovere come comunità cittadina è ricordare Falcone, ricordare Gerardo D’Arminio, ricordare con lo scoprimento del busto realizzato dagli studenti del Liceo Artistico “Emilio Sereni” la figura del maresciallo medaglia d’argento al valor civile. Falcone disse anche “gli uomini passano, ma le idee restano” e dell’insegnamento di D’Arminio e di Falcone resta la tensione morale che camminerà sulle gambe di altri uomini e oggi questo cammino è il camminio che abbiamo fatto dal “Brunelleschi” fino in Piazza Gianturco. Le gambe delle nuove generazioni che portano avanti quelle idee e quei valori.

Ma non possiamo fermarci qua perché sarebbe un fatto isolato. E’ invece necessario che ognuno, ogni giorno della propria vita, nel lavoro, nel proprio impegno privato e pubblico, testimoni sempre la fedeltà a questo valore supremo che viene prima e più di ogni altro che è il rispetto della legalità.

Così questo busto sarà l’ammonimento per noi, giorno per giorno. Un’ultima cosa. Dovevamo far ricoprire il blocco di cemento che sostiene il busto del Maresciallo D’Arminio, ma noi abbiamo deciso di non farlo perché nella sua nudità quel blocco di cemento ci parla della nudità di chi espone la propria vita in nome di un ideale più grande, e quella nudità dice anche la forza nuda e crudo del cemento che rappresenta la forza della coscienza, la nostra coscienza collettiva che non vuole più subire ma che si oppone, che reagisce e che combatte.

Come? Dicendo “no” ad ogni sopraffazione, dicendo “no” ad ogni forma di violenza, dicendo “no” a ogni forma di illegalità e dicendo “no” ad ogni forma di camorra. Onore dunque oggi al giudice Giovanni Falcone e onore al maresciallo Gerardo D’Arminio. Noi custodiremo il loro insegnamento nel nostro cuore, nella nostra memoria, e quel busto sarà l’ammonimento per tutti noi del nostro singolo personale ma anche comune impegno della comunità di Afragola. Grazie alle scuole, agli studenti, alle associazioni come Libera che hanno voluto con forza questa iniziativa, alle Forze dell’Ordine e all’Arma dei carabinieri in particolare, col Colonnello Rino Coppola in rappresentanza del Comandante provinciale, Generale Antonio De Vita.

Da sottolineare il commosso intervento della figlia del maresciallo D’Arminio esortando i tanti giovani presenti ad avere fiducia in un cambiamento, già in atto ad Afragola, per un futuro di giustizia e legalità.

 

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E’ un momento, a mio giudizio, di grande significato e voglia di riscatto per un territorio, come quello afragolese, troppe volte in risalto, per i soliti media, per fatti di malaffare, poco attenti e informati sulla voglia di rinascita culturale e sociale di questo popolo, che come già troppe volte ho citato, nasce proprio per riscattarsi dalla prepotenza e dalla malavita già molte secoli fa, la lapide all’ingresso della sede comunale lo ricorda su marmo questo  ovviamente,  non significa che i “problemi ci sono, anzi, se non ci sono, quindi mai abbassare la guardia e lavorare, come si sta facendo per il futuro con i giovani e per i giovani.

Gennaro Napoletano

 

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Gennaro Napoletano - Direttore Editoriale di LaFragolaNapoli.it