Rassegna stampa da www.avvenire.it
In molti si commossero, cinquanta anni fa, per la prima Messa in italiano. Raccontò lo stupore anche Paolo VI che aveva presieduto quella storica Eucaristia nella lingua del popolo fra le navate della parrocchia di Ognissanti a Roma il 7 marzo 1965. «C’era chi disse: finalmente si può capire e seguire la complicata e misteriosa cerimonia; finalmente il sacerdote parla ai fedeli e si vede che agisce con loro e per loro». Fu una rivoluzione la Messa in italiano. Ed era figlia della riforma liturgica scaturita dal Concilio VaticanoII. In mezzo secolo il rito è già stato rivisto più volte: siamo già alla terza editio typica in latino che presto porterà alla terza traduzione italiana del Messale romano.
L’anniversario della prima Eucaristia in “volgare” diventa l’occasione per porsi una domanda: che tipo di italiano viene usato nelle celebrazioni eucaristiche? «Bisogna dire subito che non coincide precisamente con la lingua comune – spiega Vittorio Coletti, docente di storia della lingua italiana all’Università di Genova e consigliere dell’Accademia della Crusca che all’argomento ha dedicato una ricerca –. La Messa ha un suo vocabolario che talvolta è distante da quello contemporaneo. Poi ricorre a costruzioni ed espressioni inusuali o addirittura non ammesse dai manuali di grammatica». Quella di Coletti sembra una provocazione: intento di Paolo VI e dei padri conciliari era di favorire la partecipazione piena e consapevole dell’assemblea anche attraverso le lingue nazionali. «E l’obiettivo è stato centrato», ribatte monsignor Angelo Lameri, consultore dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice e titolare della cattedra di liturgia e sacramentaria generale alla Pontificia Università Lateranense. «La linea seguita in questi cinquanta anni – prosegue Lameri – è stata quella di trovare il giusto equilibrio fra una lingua che fosse comprensibile persino alla gente più semplice e una lingua che non scadesse nel banale. La costituzione conciliare sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium, ha coniato la definizione di “nobile semplicità” a proposito dell’arte. Questa intuizione può essere applicata anche alla lingua». Coletti preferisce chiamarla «lingua speciale». «Il linguista sa che esistono usi settoriali dell’italiano: è il caso della lingua medica o di quella informatica. Di tutto ciò lo studioso non si stupisce. Certo, va riconosciuta alla lingua della Messa una sua eleganza».