Che la nostra città abbia testimonianze storiche abbandonate a se stesse, l’abbiamo detto così tante volte che ripeterlo può sembrare un argomento vieto e trito. Ma questa volta parliamo di un luogo, legato al periodo dell’occupazione nazista della città, persino dimenticato sia dalle istituzioni (il che non sarebbe una novità) sia dall’elitè culturali afragolesi, che ne avevano decretato persino la scomparsa.
Parliamo del Casone Spena, nome anonimo dietro al quale si cela il luogo del campo di prigionia tedesco ad Afragola. Innanzitutto, distinguiamo: un campo di prigionia è un luogo provvisorio dove raccogliere derrate alimentare o reclusi per poi trasferirli altrove, diversamente dal campo di concentramento. Afragola ne ha avuti ben due: uno alleato, conosciuto come campo 209 e posto nella vasta campagna di San Marco, e uno tedesco, più improvvisato e posto nel Casone Spena, posto all’Arcopinto.
Il periodo compreso fra l’8 settembre 1943 e il 3 ottobre dello stesso anno, quando dalla Sannitica giunsero i carri armati degli Alleati, fu il più difficile per Afragola. Il podestà Luigi Ciaramella, che tanto aveva fatto per la città, era stato sostituito già da alcuni mesi da Roberto Rosano, commissario di Caivano. I tedeschi, avuta notizia dell’armistizio, iniziarono a reclutare in maniera violenta e coatta manodopera civile, preferendo soprattutto operai specializzati. L’obbiettivo dei quadri militari tedeschi era quello di trasportare in Germania quanto più deportati potevano, per compensare i tedeschi al fronte.
Il Casone Spena, posto in territorio di Casoria ma adiacente ai confini afragolesi, fu scelto, a mio parere, per diversi motivi: primo, era una masseria piuttosto vasta, utilizzata un tempo come cava dai coloni, e permetteva di raccogliere un gran numero di persone e di capi di bestiame; secondo, era fuori dall’abitato e collegato alla Strada Sannitica, quindi era facilmente collegato con un’importante asse viario; terzo, non aveva necessità di grandi aggiustamenti, proprio perchè era considerato un punto di raccolta provvisorio per inviare i prigionieri in Germania. Una volta rastrellati gli uomini e sequestrate le derrate, i primi erano rinchiusi per alcuni giorni prima di essere inviati a Maddaloni e da lì partire per il Nord, mentre le seconde erano consumate o inviate al seguito della retroguardia tedesca.
Il campo restò attivo un mese scarso, poiché il 3 ottobre i militari angloamericani giunsero in città e la occuparono. Il lungo intervallo di tempo trascorso ha quasi del tutto cancellato la memoria di quegli anni, ma qualche notizia ci arriva da alcune testimonianze. Almeno due di esse riferiscono che presso il campo erano raccolte acque in grandi vasche, e era stato messo su un recinto per raccogliere i capi di bestiame, ma anche le attrezzature confiscate. C’è poi quella di Raffaele Scafuto, raccolta da Armando Izzo, partigiano e defunto sindaco di Afragola nel dopoguerra, e pubblicata da “Archivio afragolese” n. 4 nel dicembre 2003. Riferisce Scafuto: “I tedeschi rastrellarono noi giovani, e ci trasportavano al Casone Spena, sul prolungamento di via Dario Fiore. Lì ci rinchiusero in un capannone, con una sentinella che vi girava attorno(..). Scavammo e ricavammo un piccolo passagio nel terreno, e quando la sentinella era dall’altro lato, fuggimmo tutti (…). I tedeschi formarono, poco prima del 3 ottobre, una linea di difesa con cannoncini mobili che partiva dal Casone Spena e arrivava nelle campagna fino ad Acerra”. Da queste parole possiamo supporre che il Casone accogliesse diversi capannoni, e che fosse un punto nevralgico per la debole difesa tedesca contro i carri armati alleati. Il subitaneo abbandono del luogo permise poi saccheggi da parte della popolazione prostrata dalle privazioni.
Con l’arrivo degli Alleati, l’attenzione si spostò a est del territorio: gli angloamericani stabilirono il loro campo di prigionia negli ampi spazi del rione San Marco e nelle Cinquevie, famoso e testimoniato da diversi “ospiti” (parleremo anche di esso prossimamente). Da quel momento, il silenzio scese sul Casone Spena, non interrotto neppure dagli storici locali. Armando Izzo, nel testo sopra citato, afferma che esso non era più esistente, e con lui anche l’elitè “culturale” della città.
Quest’estate, confrontando una mappa dell’IGM del 1957 con una attuale di Afragola, sono riuscito a individuare i resti dell’antica masseria divenuta stalag. Si trova dietro il complesso “I Pini”, in via Gran Sasso. Al suo interno, dal poco che ho visto (non sono riuscito a rintracciare i proprietari, se ancora esistono), vi pascolano le pecore. Esso, come detto, sorge per poche decine di metri all’interno dei confini di Casoria, ma rappresenta una pagina storica, per quanto triste, della nostra città. Recuperarlo o, almeno, rendere noto che esiste ancora e che là dentro tanti nostri concittadini hanno passato ore terrificanti, con la paura della deportazione o della fucilazione, sarebbe encomiabile da parte delle istituzioni e delle associazioni del territorio, che troppo in fretta ne avevano sancito la scomparsa.
domenicocorcione1@libero.it
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