Terra dei fuochi: un’eredità sessantottina che nessuno vuole

di Domenico Corcione

Sabato 26 si è tenuta a Napoli la marcia per manifestare contro il problema dei rifiuti tossici sepolti fra le province di Napoli e Caserta. Molte cifre, discordanti fra loro, sui partecipanti, ma francamente possiamo sorvolare su di esse.

Chi scrive non è andato alla marcia, per un motivo preciso: la ritiene inutile.

Prima che i soliti esponenti della “società civile” mi qualifichino come “collaborazionista”, faccio una semplice considerazione. E’ bello che migliaia di persone manifestino per la propria salute; è giusto che si chieda al Nord, dopo averci tolto storicamente l’indipendenza, di riprendersi i propri fusti inquinati, è persino doveroso che la popolazione manifesti contro un sistema Stato che ignora volutamente il problema, perché non può/vuole risolverlo. Ma se tutti coloro che hanno responsabilità devono presentarsi al banco degli imputati, i primi a doverlo fare sono i cittadini campani stessi.

E in ciò già vediamo la prima, grossa contraddizione del movimento che vuole manifestare contro i roghi tossici: la mancanza di autocritica.

Il fenomeno dei rifiuti tossici del Nord sepolti nella Piana campana è iniziato, come tutti concordano, 20 o persino già 30 anni fa. Un territorio vasto, vera riserva agricola del Meridione, privo di grosse industrie inquinanti, che però è paradossalmente più inquinato di altri ad alta industrializzazione perché trasformato in una pattumiera, con forse 13 milioni di tonnellate di scarti industriali messi a “stagionare” sotto terra. Come sia accaduto tutto ciò, ormai è verità storica, anche se non ancora giudiziaria: grossi poli industriali del Nord venivano a seppellire gli scarti di produzione in Campania, con la collaborazione della criminalità organizzata e il silenzio assenso del sistema politico che ha retto la regione dagli anni Ottanta in poi: Dc prima, Ds e Pd poi. Su questo sono tutti d’accordo. Meno invece sulla responsabilità dei cittadini.

L’Italia di quel tempo viveva un boom economico e occupazionale da rasentare i livelli degli anni Sessanta: aumentava il potere d’acquisto, aumentavano i consumi, aumentavano le comodità delle famiglie. Un altro mondo, soprattutto paragonato a questo periodo di crisi. Un mondo godereccio in cui contava solo il benessere, da raggiungere a ogni costo, e si ignorava volutamente o inconsciamente la liceità dei metodi per raggiungerlo. L’omertà, vuoi per paura di ritorsioni, vuoi per un distorto concetto del “vivi e lascia vivere”, ha senza dubbio giocato un ruolo nel fenomeno collettivo del mettersi la testa sotto la sabbia, ma non è stata la sola causa dell’ignavia di quei cittadini. Ai giovani campani di quel tempo non importava molto dell’ambiente in cui si viveva, visto che per loro la priorità era il godimento immediato e non futuro. Mentalità tipica della cultura sessantottina, dell’ “Ora e subito”, senza pensare minimamente alle conseguenze future.

Trent’anni dopo, quei giovani che hanno consentito tutto questo, voltandosi dall’altra parte o pensando a godersi la vita, si sono improvvisamente riscoperti ambientalisti. Anzi, alcuni si sono messi a capo dei movimenti contro il fenomeno dei roghi tossici dei rifiuti, e sfidando ogni residuo senso di dignità hanno iniziato a rumoreggiare contro lo “Stato assassino” (non lo era quando garantiva loro una vita con pochi debiti) e contro le nuove generazioni, accusate di viltà e disinteresse.

Alla domanda che qualcuno ha provato a fare loro: “Ma voi, dove eravate?”, hanno risposto: “ Io non ne sapevo niente, non potevo saperne niente”.

Come se in 30 anni, dicesi 30 anni, gli unici che sapevano degli scarichi fossero solo camorristi e politici venduti al soldo nordico, in un’area a quel tempo in gran parte agricola e dove file di camion non sarebbe passare inosservate….se si fosse voluto non farle passare inosservate.

Insomma: i corresponsabili del disastro dei rifiuti sepolti fra le province di Napoli e Caserta, coloro che vedevano e non hanno impedito che ciò avvenisse, che hanno dato in eredità ai giovani d’oggi un territorio avvelenato, e che riacquisterà il suo equilibrio ecologico solo fra un secolo (ammesso che parta la bonifica di massa), accusano i giovani d’oggi di essere poco motivati a difendere l’ambiente, e pretendono di comandarli, ordinarli, schierarli. Ecco perché, preoccupato come e più di loro di quello che mangio, come e più di loro di come cresceranno i miei figli, dico a chiare lettere che proprio loro non hanno la faccia per guidare o anche solo per commentare azioni sacrosante di protesta su questo tema, che se hanno un difetto è quello di non svolgersi direttamente sotto le industrie del Nord e in maniera permanente, tali da costringerne i dirigenti a parlare almeno delle proprie colpe. So di stare dicendo cose che faranno storcere il naso a molti, e che provocano anche reazioni rabbiose. Ma del resto la verità fa male, per definizione, e voi cari amici attempati, che vi atteggiate a cittadini modelli quando siete stati “in prima linea” con la vostra ignavia a creare questa situazione, dovreste avere adesso il buon gusto di tacere.

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Gennaro Napoletano - Direttore Editoriale di LaFragolaNapoli.it