“La gente ci chiede: ma come, tutti noi vorremmo scappare e voi, che potreste partire, restate qui? A loro diciamo che noi, in questo momento, non vorremmo essere da nessun’altra parte al mondo se non al fianco dei nostri fedeli, delle mamme e dei bambini”.
“Sono arrivata due anni fa. C’è così tanto da fare che il tempo è passato senza che me ne accorgessi. Ai bambini abbiamo aperto la nostra case e le attività ricreative, uno dei pochi momenti di svago in un posto desolante come Gaza” ricorda suor Maria, aggiungendo che “la gente ci ha accolto fin dal primo momento, forse perché portiamo il velo o perché abbiamo scelto di vivere al loro fianco in questa situazione. Il solo fatto di sapersi accompagnati nella sofferenza è un enorme sollievo. È questo il nostro compito”.
Dall’inizio dell’offensiva, “il rumore assordante delle bombe, l’insicurezza e la paura sono una vera tortura per la gente e soprattutto per i più piccoli, non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico” sottolinea la religiosa, secondo cui “sono molti i bambini che hanno ripreso a fare la pipì a letto o che soffrono di vere e proprie crisi di nervi”.
Questa mattina, per la prima volta da sette giorni, le religiose hanno lasciato la loro casa per recarsi al funerale di un uomo, malato di cuore e morto ieri sera. “Abbiamo visto strade vuote, negozi chiusi e detriti lungo i marciapiedi e sull’asfalto – racconta suor Maria -. La città sembra paralizzata, fatta eccezione per le autoambulanze, le cui sirene accompagnano il boato delle esplosioni”.


